Il panico rappresenta un elemento ricorrente nelle fasi iniziali di tutti i contesti di crisi, ma sebbene ancora non si possa tracciare un bilancio dell’efficacia delle misure adottate nel contenimento della diffusione della pandemia, una cosa sembra essere certa: la conseguenza della quarantena di massa, il cosiddetto lockdown, è la paura. La paura di infettarsi, la paura di infettare, la paura per i figli o per i genitori anziani, la paura della crisi economica.
“Questa è stata alimentata e amplificata inevitabilmente dalla narrativa- ci spiega la psicologa Venera Martogli- che ha accompagnato l’aumentare dei casi, delle morti e di un bollettino quotidiano che molto spesso è stato rappresentato come un bollettino di guerra. I fattori che in questo contesto ne hanno condizionato l’evoluzione sono stati molteplici.Primo, le rigide misure adottate dal Governo per il timore che la situazione potesse peggiorare; in secondo luogo la quarantena, ma anche l’isolamento sociale si associa per definizione alla perdita di controllo e alla sensazione di sentirsi in trappola.Terzo-continua la professionista- il desiderio continuo di informazioni ha spinto e continua a spingere le persone ad affidarsi anche a fonti non attendibili rischiando di imbattersi anche in fake news che hanno il solo scopo di esacerberare una situazione di panico gia’ in essere. Per qualcuno l’impatto combinato di tutti questi elementi può avere un impatto psicologico molto significativo. Mentre l’ansia tra le persone oggetto di quarantena è comune, ci può attendere, nel prossimo futuro, anche un effetto discriminatorio nei confronti di coloro che sono stati oggetto di isolamento o che hanno contratto la malattia e ne sono guariti. In qualunque disastro biologico, i temi della paura, dell’incertezza e della stigmatizzazione sono comuni come lo e’ il rischio di sindrome da stress post-traumatico studiato a lungo in letteratura scientifica anche come conseguenza di un trauma di massa. Sicuramente per provare a lasciarsi alle spalle quella sorta di “depersonalizzazione” provata-spiega la psicologa-e’ fondamentale riprendere la propria quotidianita’ (lavoro,hobbies,relazioni interpersonali). In generale,a seconda della gravita’ dei casi, un approccio multidisciplinare che possa prevedere il coinvolgimento di più figure, quale medico di famiglia, medico del lavoro, psicologo e in nei casi più gravi dello psichiatra rappresenta l’approccio più importante. Successivamente-conclude Venera Martogli- il supporto psicosociale più importante potrebbe essere fornito sia dai famigliari, dai servizi sociali, dagli psicologi e dagli psichiatri al fine di garantire oltre al benessere anche un monitoraggio nel tempo”.